La liturgia delle ultime tre settimane del tempo ordinario ci porta a volgere lo sguardo sulle realtà escatologiche della nostra fede cristiana, cioè su ciò che per fede crediamo e speriamo al termine della vita terrena e del passaggio da questo mondo a Dio e alla fine della storia dell'umanità.
I cristiani di Tessalonica avevano vissuto drammaticamente le prime morti di membri della comunità, per questo Paolo affronta la questione del rapporto fra coloro che sono ancora in vita sulla terra e quelli che sono morti dopo essere venuti alla fede (seconda lettura della trentaduesima domenica del tempo ordinario anno A - 12 novembre 2017).
Paragonando la morte al sonno, Paolo afferma che il cristiano, come è unito a Cristo nella morte, parteciperà anche della risurrezione di Cristo e sarà condotto al Padre attraverso Cristo morto e risorto. La risurrezione di Cristo è il fondamento della vita eterna e della risurrezione del cristiano.
Nella liturgia della Santa Messa la Chiesa ha recepito l'insegnamento paolino e prega in questi termini: "Ricordati, Padre, del nostro fratello che hai chiamato a te da questa vita: e come per il Battesimo l'hai unito alla morte di Cristo, così rendilo partecipe della sua risurrezione" (preghiera eucaristica II).
Per il cristiano la morte non è più, come per gli altri, la fine di tutto. Essa è il passaggio da questo mondo all'eternità in virtù del Battesimo ricevuto che ci ha innestato in Cristo e nella sua morte redentrice. E' la morte di Cristo per i nostri peccati che rende la morte del cristiano passaggio verso Dio.
Ma Cristo è anche risorto, si è risvegliato come si esprime il Nuovo Testamento, e la sua risurrezione è il pegno della nostra futura risurrezione. Per questo fra i pellegrini sulla terra e coloro che sono giunti al cielo non c'è disparità di trattamento e nessuna gerarchia o precedenza, ma tutti siamo inseriti in Cristo per essere con Cristo.
Il Vangelo con la parabola delle vergini sagge e di quelle stolte ci rammenta che prudente è colui che sa queste cose e se ne ricorda senza agire come lo struzzo, cioè far finta di niente, che la morte non ci sia.
Il pensiero della morte alla luce di Cristo morto e risorto, anziché farci venire la depressione e l'angoscia, le combatte e le vince.
Perché Paolo può chiamare 'addormentati' quelli che non sono più sulla terra?
Perché Paolo sa che alla fine al sonno della morte seguirà il risveglio della risurrezione.
E perché Paolo è convinto di ciò?
Perché è persuaso della vittoria di Cristo sulla morte.
Quanta serenità nelle parole di Paolo!
Senz'altro l'apostolo ha appreso e interiorizzato la lezione del Vangelo.
Ed io?