Pensiero del Parroco

Dopo il segno del tempio e della croce innalzata, quello del chicco di grano.
Il vangelo della quinta domenica di quaresima, tratto dal capitolo dodicesimo del Vangelo secondo Giovanni, ci fa ascoltare l’inizio dell’ultimo discorso pubblico di Gesù. Questo prende le mosse da una domanda rivolta all’apostolo Filippo da parte di alcuni simpatizzanti del giudaismo, di provenienza pagana, presenti a Gerusalemme per la Pasqua e che avevano assistito alle manifestazioni popolari inneggianti a Gesù. Essi vogliono vedere Gesù, chiedono di conoscerlo. E Gesù apparentemente non risponde alla loro domanda, ma di fatto ne va al cuore dichiarando chi egli sia e quali sentimenti debbano trovare posto nel cuore di chi intende mettersi al suo seguito.
Per parlare di sé Gesù utilizza l’immagine del chicco di grano che viene gettato nel terreno e sotto terra si disfa dando vita alla pianta. In tal modo egli allude alla sua passione e alla sua morte, ma non solo; introduce anche le parole successive su chi vuole essere suo discepolo e per questo viene chiamato a rivivere nella propria carne l’esperienza che fu anzitutto nel suo Signore e Maestro.
È in questo contesto che Gesù mette dinanzi agli occhi di chiunque voglia seguirlo il dilemma di fondo: o rimanere soli o portare frutto.
La vita di Gesù ha portato frutto e ci ha meritato la salvezza perché, come il chicco di grano, è stata tutta una morte a se stesso per offrirsi e donarsi al Padre, ai fratelli e alle sorelle, sperimentando la vicinanza di Dio.
La vita del discepolo, a imitazione di quella di Gesù e con l’aiuto della grazia divina, può essere una vita che porta frutto, è piena e realizzata nel senso nobile del termine e nella quale non c’è spazio per la solitudine.
Quando, invece, il discepolo smette di essere discepolo e si abbarbica a sé nel tentativo vano e illusorio di tenersi stretto ciò che ha, ecco che non soltanto non porta frutto, ma finisce per smarrirsi e rimanere solo: arido e duro di cuore, sterile e infecondo di opere.
Certo la via per una vita che porta frutto è quella che conduce al Calvario, è la via della Croce.
Il turbamento può certo ben prendere l’animo del discepolo, però è possibile rimanere a schiena dritta e a fronte alta sì che la croce sia motivo di vanto e di onore per noi e non occasione per inciampare e fare naufragio nella fede. ‘È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato’: quando la croce bussa alla porta del nostro cuore ed entra nella nostra vita, ci dimentichiamo che l’ora di Gesù, l’ora della sua croce, è già venuta. Noi siamo nel tempo in cui la Croce è già stata innalzata e i suoi effetti di bene e di grazia non smettono di agire e operare. Questo, però, non è oggetto di considerazione da parte nostra con il risultato che la croce è una iattura da scansare il più possibile e con la conclusione che, stando così le cose, ci perdiamo e affoghiamo in un mare di solitudine estrema e indicibile.
In questi giorni che ci conducono al Venerdì Santo, quando nuovamente sveleremo la croce ora nascosta, guardiamo la Croce di Gesù, contempliamola, adoriamola. È un esercizio dello spirito apparentemente improduttivo, di fatto straordinariamente efficace e portatore di conversione e di crescita nella fede, nella speranza e nella carità.  
Parrocchia Sacro Cuore di Gesù
Via Alcide de Gasperi n. 9
Campi Bisenzio, (FI) - 50013
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