Pensiero del Parroco

La Pentecoste è mistero di ricomposizione: ricomposizione di una unità perduta, quella del genere umano ferito dalla colpa di origine, incapace alla radice di dare vita a una comunione che non sia quella forzata, imposta, frutto di pretesa e di violenza, quindi una comunione che non è tale, che nella migliore delle ipotesi è una parvenza di comunione.
Il racconto della Torre di Babele che la liturgia della vigilia di Pentecoste ci fa ascoltare esprime proprio la coscienza che l’uomo vuole imporre ai suoi simili un’unità fondata su pretese, su dettami, su progetti faraonici: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la terra” (Gen 11,4).
Di qui una gran confusione: “Per questo la si chiamò Babele perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra” (Gen 11,9).
Babele, cioè ‘Porta degli dei’, diventa sinonimo, anzi emblema di confusione, di dispersione: come ogni pretesa umana di imporsi sull’altro in nome di un motivo sempre e nuovamente buono, magari ammantato di ragioni cosiddette umanitarie e liberatrici.
La Pentecoste ricompone, lo Spirito di Cristo e del Padre ricompone.
Ricompone l’unità perduta, ricompone i cuori, genera legami, stringe rapporti, dà vita alla comunione, fa sì che la Chiesa sia sempre più la casa per ogni uomo, per ogni donna dove trovare riposo, dove poter imparare ad apprendere il linguaggio della carità che tutti unifica senza umiliare nessuno.
 
“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: ‘Se qualcuno ha sete, venga a me e beva chi crede in me’” (Gv 7,37).
Nel contesto solenne della festa delle Capanne e dei suoi riti di libazione Gesù dichiara che lui e solo lui è la fonte alla quale attingere l’acqua, che lui e solo lui è la sorgente che disseta la domanda di vita che l’uomo porta in sé fin dal giorno della nascita e sin al momento in cui sente andar via le sue forze, la vista si appanna e gli occhi si chiudono.
Egli stesso, il Signore risorto e vivo nella gloria del Padre, la cui vittoria sul peccato e sula morte abbiamo celebrato in questi cinquanta giorni di Pasqua iniziati con la domenica di Risurrezione, ci fa dono del suo Spirito.
Ha promesso ed è stato di parola: ‘Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’ (Mt 28,20).
Lo Spirito Santo è la compagnia di Gesù ai suoi: a noi che crediamo nel suo nome, di Signore, di Cristo.
Ci ricompone in unità e in comunione: in unità e in comunione con Gesù e con il Padre, in unità e in comunione tra noi, in unità e in comunione con tutti e con la realtà creata intera.
Ora, nel tempo delle doglie del parto come afferma San Paolo, tra le fatiche e le prove della vita, sorretti dalla speranza che in questo andare anche accidentato e severo, che nulla risparmia, la salvezza ci è già donata (‘nella speranza infatti siamo stati salvati’ – Rom 8,24).
Così come nel ‘grande giorno della festa’ di cui la celebrazione delle Capanne, celebrazione del raccolto finale compiuto dal Messia con il raduno di tutti i popoli in uno solo, era la prefigurazione: il giorno del ritorno del Signore, il giorno del giudizio, il giorno della risurrezione: quando tutto sarà ricomposto in perfetta unità e Dio sarà tutto in tutti.       
Parrocchia Sacro Cuore di Gesù
Via Alcide de Gasperi n. 9
Campi Bisenzio, (FI) - 50013
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